34 articoli dell'autore Anna De Rosa

Anna De Rosa 07/10/2022 0

Linee e colori per esprimere sentimenti profondi, l'arte di Antonia Vivone

Antonia Vivone, insegnante, specializzata in lingue e letterature straniere, ama l’arte e la coltiva. Dopo la laurea, ha maturato esperienze pluriennali in diversi settori, che le hanno permesso di acquisire competenze di problem solving, capacità di lavorare in team o individualmente, per raggiungere con successo obiettivi prefissati.

Il suo stile, l’espressione, la nozione analitica di soggetto, sono un’estetica empirica essenziale. Nella rappresentazione della sua arte, Antonia spazia dal figurativo all’astratto.

Dove sei nato/a? Dove vivi?

Sono nata a Salerno e vivo tra Salerno e Bellizzi.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

Ho iniziato da bambina col disegno e poi ho proseguito con la pittura, approfondendo alcune tecniche e sperimentando molteplici stili. Mi sono accorta, sin da subito, che riuscivo spontaneamente a rappresentare ciò che avevo in mente e a riprodurlo, sia in modo figurativo che astratto.

Come nasce una tua opera?

Ogni opera nasce da un'ispirazione, che per me è una sorta di scintilla che viene dall'interno. Può prendere spunto dal mondo circostante o dal mondo interiore. Spesso nasce dalla curiosità dell'artista o da un particolare momento della vita. Molte delle mie opere nascono per dar voce a sentimenti profondi. Sulla tela, linee e colori si mescolano tra loro, dando origine all'opera.

Cosa cerchi di comunicare attraverso le tue opere?

Le mie tele, soprattutto quelle astratte, sono la voce dell'io interiore o, talvolta, la rappresentazione "emozionale" della realtà. Le opere parlano da sé, comunicando amore, gioia, solitudine, rabbia o malinconia. Gli accostamenti di colore, come anche i soggetti rappresentati, sono lo specchio delle emozioni che hanno spinto la mano dell'artista a dipingere. Ogni forma ed ogni linea ha un suo specifico significato, dalle linee curve, armoniose e delicate, a quelle spigolose, simili a graffi sulla tela.

I riferimenti artistici e culturali e gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?

Nel corso degli anni ho avuto modo di apprezzare numerosi pittori e scultori, da Michelangelo, Leonardo e Raffaello, agli artisti contemporanei. Ognuno di loro, a suo modo, ha tramandato la propria visione del mondo. Tuttavia, l'artista che maggiormente mi ha colpito è stato Van Gogh, di cui ho ammirato i colori accesi e le pennellate veloci, in occasione di una visita ad un museo parigino.

Artisti, galleristi, Istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?

Ritengo che l'arte abbia un grosso potenziale nel nostro Paese. L'Italia ha una grandissima dote da sfruttare, quella di numerosi artisti poliedrici che fanno sentire la propria "voce" e quella di altrettanti che, invece, si espongono meno. È necessario, a mio avviso, incentivare le manifestazioni e gli eventi culturali, in quanto l'arte in sé è un canale di comunicazione significativo, per nulla trascurabile, e possiede la capacità di coinvolgere la gente.

Usi i social per promuovere la tua arte?

Si, utilizzo i social per diffondere le opere, in modo particolare Facebook e Instagram, che rappresentano la comunicazione del momento.

Cosa ti ha lasciato la pandemia?

Ho cercato in tutti i modi di sfruttare il periodo della pandemia per portare avanti progetti artistici, traendo il meglio anche dalle piccole cose. Il momento peggiore è stato probabilmente quando ci siamo resi conto che il mondo fuori fosse immobile: la tristezza di tale consapevolezza ha preso diverse forme e, a volte, è stato difficile rimboccarsi le maniche mettendosi in gioco.

Quando, finalmente, siamo usciti da quella realtà parallela, ho apprezzato tutto ciò che per me precedentemente appariva "normale", "consueto". L'arte è rinata insieme a noi ed è tornata a splendere nella sua funzione comunicativa, trasversale ed empatica. Ciò che la rende preziosa è la funzione di trasmettere messaggi importanti e sentimenti inspiegabili a parole. Arte è socialità, integrazione e unione, ciò che vorrei tramandare con le mie opere.

Progetti futuri?

Ho intenzione di continuare a coltivare alcuni progetti artistici e partecipare ad eventi sul territorio.

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Anna De Rosa 09/09/2022 0

Esplosioni cromatiche e versatilità in chiave impressionista, ecco Splò

Loredana Spirineo, meglio conosciuta come Splò, è un'artista salernitana straordinaria, lavora come un'operaia dell'arte, ruba tempo su tempo alla sua quotidianità, produce opere e oggettistica significative e piacevoli allo sguardo, in stile impressionista; il tema delle sue opere è molto versatile, Splò dipinge molte scene diverse in cui spesso è protagonista la natura con paesaggi di mari, tramonti, albe, alberi, adorabili animali e la ritrattistica.

Da ammirare nelle sue opere l'esplosione cromatica, tutto viene visto con una lente d'ingrandimento. Per Loredana la pittura è una passione che viene da lontano, il suo percorso artistico nazionale e internazionale è ricco di premi e soddisfazioni.

Dove sei nata? Dove vivi?

Sono nata e vivo a Salerno.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

E' iniziato da piccola fra i banchi di scuola; con penne e matite ritraevo, a loro insaputa, i miei compagni. Allora mi veniva naturale, poi crescendo ho iniziato ad utilizzare i pennelli e sperimentare sempre nuove tecniche, facendo mille domande al Sig. Salvatore Cucciniello, che artisticamente è stato per me una guida spirituale.

A lui chiedevo consigli su libri, materiali e procedimenti, perché dalla matita i miei lavori presero colore. Mi incuriosiva "creare", ma tenevo nascosti in casa i miei lavori. Quando fui invitata ad esporli per la prima volta, mi resi conto con grande piacere che il mio papà non solo accolse con gioia la mia decisione, ma ne era emozionato.

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

Le mie opere nascono da un'emozione o un dolore e la tela mi dà modo di esternarli. L'ispirazione è qualcosa che non cerco, forse potrei definirla un soffio di vita che sento vibrare e non mi chiedo, mentre prende vita una tela, cosa ne possa pensare il probabile fruitore.

Ogni opera ha una storia, non nasce a caso ed in essa si può leggere qualunque emozione negativa o positiva, o peggio anche nessuna, può piacere o no ma se viene esposta il momento magico è scoprire se anche un solo sguardo si posa su di essa. I soggetti dei miei lavori sono le infinite persone che ho avuto la gioia o l'amarezza di conoscere nel mio percorso di vita. Si possono tramutare in alberi, in un mare o più difficilmente in qualcosa di astratto che mi ricorda i loro colori e le loro forme.

I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato?

Adoro Klimt, Caravaggio, Leonardo, Van Gogh, Michelangelo, Monet, Renoir, Cezanne, Andy Warhol e David Bowie.

Artisti, galleristi, Istituzioni: cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?

Penso che ogni artista abbia qualcosa da donare, nel passato e nel presente, fino a quel che potrà essere il futuro. In alcuni casi vi è una ricerca dell'inimmaginabile e i galleristi premiano qualche volta le correnti artistiche del momento, ma credo che l'arte non abbia confini temporali.

Progetti futuri? Cosa ti ha lasciato la pandemia?

Ho vissuto il mio tempo sospesa fra quel che avrei voluto realizzare e quel che concretamente ho potuto creare. Credo che, per quanto altalenante e dubbioso, il futuro sia ancora "arte", magari con altri profili ma sempre motore di vita per chi, come me, ha come primo pensiero il bisogno di aprire gli occhi al mattino e ringraziare il cielo di avere la mia alleata "luce" che mi permette di fermare immagini su una tela, un foglio di carta, un pezzo di legno o qualunque altro supporto mi capiti a tiro.

Poi, nonostante tante difficoltà e l'impossibilità di essere presente, ho partecipato a diversi contest sui social. Inoltre, cari e stimati amici ospitano le mie opere in alcune location della città, donandomi spazi come "Ares Home", "Costa Cafè", "Antichi ricordi di Salerno".

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Anna De Rosa 11/07/2022 0

La rinascita interiore di Agata Senatore fra arte e letteratura

L'autrice salernitana Agata Senatore è semplicemente se stessa nel raccontare e raccontarsi nei suoi libri, perché ha realizzato i suoi sogni artistici. Agata Senatore appartiene all’arte e alla letteratura. Nella sua esperienza letteraria emergono gli elementi di una rinascita interiore, grazie alla quale viene a bilanciarsi il suo rapporto con le persone.

Agata racconta nei suoi libri e nei suoi quadri la sua infanzia, la sua adolescenza, la famiglia, le amicizie, con un narrare fluido, scorrevole, piacevole, anche con ironia, elaborando una profonda riflessione sulla vita. La Fede è più forte della verità, per Agata la fede è verità, e la verità merita la ribellione di fronte al pregiudizio, al moralismo, soprattutto se falsi.

Dove sei nato/a? Dove vivi?

Sono di Salerno e vivo a Salerno.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

Sia per la pittura che per la scrittura all’età di 11 anni, per la voglia di esprimere le miei emozioni e sensazioni.

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

Il mio primo libro, intitolato "I perché di Edda", nasce dalla lettura del mio primo diario, dove descrivo tutti i viaggi fatti con mio padre e la mia famiglia; descrivo i vari sentimenti come l’amore e l’amicizia, con il mio scritto cerco di comunicare le mie emozioni e convinzioni.

Cosa pensi del sistema dell’editoria del nostro Paese?

Per me le istituzioni sono assenti, se ci fosse più impegno da parte di tutti si potrebbe fare senz’altro meglio, promuovere più iniziative letterarie.

Come hai vissuto la pandemia? Progetti futuri?

Per adesso ho realizzato tre libri che mi hanno dato soddisfazioni; nel secondo, "Sulle orme del padre", sempre tratto dai miei diari, ho inserito la biografia di mio padre e poi ho raccontato tutte le difficoltà che ho avuto con la morte di mia madre, parlando anche dei miei sogni; nel terzo libro, “Senza titolo”, mi sono raccontata dai 7 fino a 16 anni, aggiungendo uno scritto di un anonimo e, come sempre, una piccola raccolta di mie poesie. Ovviamente ho intenzione di dipingere e scrivere ancora.

La pandemia l'ho vissuta con tranquillità perché io sto bene con me stessa, quindi mi piace stare a casa; la "reclusione" mi ha portata a pregare di più e aiutare ancora di più il prossimo, e ad amare le piccole cose di cui Dio ci fa dono.

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Anna De Rosa 20/06/2022 0

Donatella Fenio, voce e sensazioni di chi viene lasciato indietro

“Il segreto di Gabrielle Ross” di Donatella Fenio è una storia di amore e di passione: il riscatto di una donna che sceglie di essere fuori da una relazione difficile. E’ un vero e proprio thriller con tanto di colpi di scena. Donatella Fenio in questo suo lavoro editoriale vuole dar voce anche a quanto ancora c’è da dire sulla violenza sulle donne, in particolar modo sull’amore deviato che crea illusioni e false attese.

Dove sei nata? Dove vivi?

Sono nata ed abito a Salerno.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico? Perché la voglia di scrivere?

La voglia di scrivere è sempre stata innata in me. Ma la mia prima possibilità si è presentata nel 1995; partecipai per gioco ad un concorso di poesia, e con mia grande sorpresa mi classificai seconda. Il concorso era per ricordare il grande Alfonso Gatto ed il titolo della mia poesia era "L'inverno".

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare attraverso il tuo scrivere?

Le mie opere nascono da domande che mi pongo. Se al telegiornale si parla del referendum per decidere se persone dello stesso sesso possano adottare bambini, la mia domanda è perché si debbano fare referendum per questo, perché due persone che si amano debbano lottare per poter essere riconosciuti come famiglia. Cerco sempre di mettermi nei panni di chi non ha voce, i giudizi li lascio agli ignoranti, io nel mio piccolo cerco di capire come si sente chi viene lasciato indietro. Provo a dare voce a chi non ne ha.

Case editrici, critici, istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’editoria contemporanea del nostro Paese?

Purtroppo ho rinunciato a diversi concorsi, perché quasi tutti richiedono soldi per poter partecipare. C’è poca meritocrazia in questo settore e le case editrici non premiano più gli autori emergenti, ma si buttano più su facili guadagni. Detto questo però io non mi arrendo e vado avanti per la mia strada. Il mio primo romanzo “Il Segreto di Gabrielle Ross”, pur essendo un libro finito, ha altri due capitoli scritti ma non ancora pubblicati.

Progetti futuri? Cosa ti ha lasciato la pandemia?

Sicuramente ci sono altri libri che sono pronta a scrivere, ho da raccontare tante storie ancora. Riuscire a farmi conoscere e vivere della mia arte è ancora un sogno, ma io non sono una che si arrende facilmente. Un mio progetto è sceneggiare il mio romanzo, farne un copione e farlo diventare un film. Forse volo alto ma nella vita mai dire mai. La pandemia mi ha ricordato di vivere oggi perché domani è sempre incerto.

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Anna De Rosa 25/05/2022 0

L'arte "da indossare" di Erica Longobardi e i suoi progetti post pandemia

L’arte di Erica Longobardi e di suo marito viene richiesta da tutta Italia, da Potenza a Milano, addirittura in Cina; i loro sono pezzi unici, interamente disegnati e dipinti a mano. Il giusto riconoscimento per chi è coraggioso e investe su se stesso.

Dove sei nata? Dove vivi?

Sono nata è cresciuta Salerno, da qualche anno vivo a San Gregorio Magno, dove soprattutto i giovani della mia età mi hanno subito accolta e resa partecipe di molti eventi nel campo artistico; però nel cuore ho sempre la mia Città natale, un legame indissolubile: se chiudo gli occhi per un attimo, mi sembra di stare lì sulla spiaggia ad ascoltare il rumore del mare, sentire l'odore del sale e il sole che ti avvolge. Quando mi capita di tornare per me è sempre una grande gioia, come se fosse la prima. La mia anima è divisa tra mari e monti.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

E' iniziato durante l'adolescenza, c'è la classica fase in cui devi scegliere che scuola frequentare e chi diventare. E in cuor mio sapevo già di essere un'artista, perché l'arte te la senti addosso finché non le dai modo di liberarti; però è anche vero che bisogna affinare le tecniche. I miei genitori, soprattutto mia madre, mi hanno sempre appoggiato nelle scelte, infatti ho svolto gli studi al liceo artistico Filiberto Menna dove mi hanno dato la possibilità di partecipare a svariate mostre, di cui conservo ancora attestati.

Purtroppo, col crescere anche i problemi economici crescevano e per tale motivo non ho potuto intraprendere la via dell'accademia e quindi da quel momento in poi c’è stato un periodo di standby. La mia arte è iniziata a rifiorire quando ho incontrato mio marito, anche lui artista, e insieme abbiamo deciso di aprire un negozio unico, "arte da indossare" come lo definisco io.

Abbigliamento di ogni genere, dipinto unicamente a mano su commissione; il negozio si sarebbe chiamato "Brainstorm", una tempesta d'idee, che poi si sono realizzate. Abbiamo aperto e le persone hanno ordinato dei pezzi da tutti Italia, addirittura delle scarpe in Cina: pezzi unici, interamente disegnati e dipinti a mano con colori specifici per tessuti. Purtroppo però il nostro sogno è andato in frantumi causa Covid; un momento non facile per nessuno, un momento critico che ci ha portato alla chiusura.

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

Le mie opere nascono sempre in periodi particolari della vita, nei dipinti che ho realizzato chi li guarda poteva sentire il mio stato, la mia essenza, l’urlo di tutte le emozioni perché ogni volta su un dipinto, ma soprattutto sui capi, era come se stessi regalando piccoli pezzetti di cuore in giro per il mondo. I soggetti che scelgo sono volti, animali, fiori, anche se in realtà sono loro che scelgono me.

I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato

Nel corso del tempo devo dire che sono andata in fissa per Van Gogh, ricordo soprattutto i suoi primi quadri di cui nessuno parla mai che esprimevano tanto di lui, come i mangiatori di patate; questi uomini e donne molto simili a scimmie, con le mani sporche di terra e spaccate dal lavoro, mi fanno pensare che la sua vita non è stata per nulla facile. Un’altra artista che mi ha ispirato è Frida Kahlo, non nelle opere ma bensì come persona, donna, simbolo di libertà e di rinascita.

Artisti, galleristi, istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?

Purtroppo non è molto facile inserirsi nel sistema, bisogna farsi strada con le unghie e con i denti e molto spesso, come in tutti i campi, ci sono sempre quindi bisogna stare attenti a chi promette troppo, molto spesso bisogna scendere a compromessi per non parlare del fatto che se non trovi i giusti canali e le persone giuste non è detto che arrivi in alto. Quello che si dovrebbe fare è dare più voce all'artista e apprezzare l'arte che trasmette, non modificarlo per farlo diventare commerciale.

Progetti futuri? Cosa ti ha lasciato la pandemia?

Questi due anni mi hanno lasciato un vuoto, una ferita aperta; la situazione della pandemia ci ha messo alle strette perché non eravamo più in grado di sostenere le spese del negozio. Fra i progetti per il futuro c'è riprendere a dipingere, infatti sto iniziando con dei laboratori d’arte per bambini in modo che comincino a rapportarsi con essa, tirando fuori il lato creativo, artistico, inventivo, stravagante, perché l'arte comprende tutto.

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Anna De Rosa 09/05/2022 0

La sfida avvincente dello "scrittore-artigiano" Domenico Notari

Domenico Notari è architetto e scrittore. Suoi racconti sono apparsi sulle principali riviste italiane, statunitensi ed elvetiche: «Nuovi Argomenti», «Linea d’ombra», «Achab», «Webster Review», «TriQuarterly» e «Viola» sono stati trasmessi dalla Radio Svizzera. Ha fatto parte della nuova leva di narratori, sceneggiatori e registi chiamati dalla Rai a rappresentare una porzione d’Italia attraverso la radio. Ne è scaturito il documentario a puntate "Salerno, un archivio della memoria" per la serie Centolire.

È autore dei romanzi "9, la rabbia del rivale" (Castelvecchi, 2018) e "L’isola di terracotta" (Avagliano 2000; Marlin 2019), giunto alla quarta edizione. Ha fondato e dirige dal ‘98 una delle prime scuole di scrittura narrativa del Meridione: "L’officina del racconto". Ha insegnato Scrittura creativa all’Università di Salerno. Con Newton Compton ha pubblicato "Breve storia del Regno di Napoli" (2019), poi audiolibro per Audible (2021), e "La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés" (2021).

Dove sei nato? Dove vivi?

Sono nato a Capriglia di Pellezzano e vivo a Salerno.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

Sono convinto che il percorso formativo di un artista inizi già dall’infanzia. E per quanto mi riguarda è cominciato intorno ai 6 anni con la lettura accanita di qualsiasi cosa – libro o fumetto – avesse le sembianze di una storia avventurosa o di una fiaba. Sono stato favorito in questo da una biblioteca di famiglia ben fornita. I volumi con le illustrazioni in tricromia della Scala d’oro Utet – quella originale degli anni Trenta – sono stati i miei primi maestri.

Un altro esercizio formativo per un artista è la distrazione. E io mi sono esercitato molto con questa pratica: a scuola ero sempre distratto, nonostante i rimproveri di genitori e maestri. La distrazione è stata sempre demonizzata. Solo oggi, gli psicologi riconoscono che favorisce la creatività, la formazione del sé e la percezione degli altri.

Quando, poi, da adulto ho letto “L’inventore di sogni” di Ian McEwan, mi sono riconosciuto in pieno nel personaggio di Peter Fortune, il ragazzino che sogna a occhi aperti. Gli adulti lo considerano un ragazzo difficile perché è molto distratto, ma non sanno che Peter cresce proprio attraverso quei sogni: gli danno il coraggio necessario per affrontare le difficoltà della vita. Forte di quest’esperienza, i miei laboratori di scrittura creativa, nella scuola primaria, favoriscono sempre la distrazione in classe.

Perché la voglia di scrivere?

All’inizio della carriera, è stata una sfida, emulare gli scrittori che amavo: Calvino, Rodari, Buzzati, i miei primi modelli di scrittura. E sono partito imitando il loro stile; un po’ come quei pittori che nei musei copiano le tele dei grandi maestri. Oggi, invece, scrivo con uno stile mio quelle storie che da lettore vorrei leggere. Do forma a quanto tumultuosamente si agita dentro di me e cerco di trasmetterlo a quante più persone è possibile.

Cos’è per te l’ispirazione?

L’ispirazione è un’idea fissa, un pensiero in nuce che ti accompagna prepotente per giorni, mesi, finché non le dai la forma di una storia. E la storia che viene fuori sulla carta (racconto o romanzo) è frutto, poi, di un lavoro ostinato, maniacale e monacale, dello scrittore-artigiano. Direi un lavoro di cesello della pagina, di “ogni” pagina scritta.

Sandro Veronesi ha colto perfettamente la mia idea di lavoro nello “strillo” di copertina che accompagna i miei ultimi volumi: «La forza di Domenico Notari è sempre stata quella dell’artigiano (il sarto, il ceramista, il vetraio) che siede davanti alla materia grezza e sa che il raggiungimento della forma desiderata è solo questione di tempo». Ecco: ispirazione e inventiva, ma anche molta pazienza e duro lavoro.

Come nasce una tua opera?

Dopo che l’ispirazione ha preso forma, diventando un’idea strutturata, passo ad abbozzare una trama mediante appunti. Ho un bellissimo quaderno nuovo per ogni romanzo in fieri: una grafica accattivante invoglia i pensieri. Non mi metto subito al PC per scrivere la storia; non navigo a vista, senza avere una rotta. Ho bisogno, invece, di partire già con un finale, con un punto fermo, che naturalmente nel corso della scrittura vera e propria può cambiare, modificarsi strada facendo. In questa prima fase, per acciuffare idee o soluzioni ai problemi che sorgono man mano, utilizzo una sorta di brainstorming con me stesso, un “botta e risposta” con il mio alter ego grazie allo straniamento.

Cosa cerchi di comunicare attraverso il tuo scrivere?

Inizialmente nulla. Nessun messaggio preconcetto, Dio ce ne scampi! Voglio solo emozionare i miei lettori. Quella stessa emozione che provo io nel momento in cui affiora sulla pagina, improvviso, l’inconscio. Mi interessa affascinare il lettore, tenerlo avvinto. Farlo ridere, piangere, saltare sulla sedia. Un romanzo, in fondo, è come un bonsai: è una vita in miniatura. In un centinaio di pagine è condensato il dramma di una o più persone.

Pensiamo a “Guerra e Pace”: in poco più di mille pagine sono concentrate le guerre napoleoniche, le vite di interi eserciti e i destini di intere generazioni. Se, durante la mia scrittura, sorgono istanze civili, politiche o morali, queste vengono “mostrate”, non “dette”; non sono mai esplicite: sono sempre narrativizzate, sotto forma di simboli, di situazioni, di personaggi.

Come scegli il soggetto di un tuo lavoro?

È il soggetto che sceglie me. In questo la penso come Picasso che affermava: “Io non cerco, trovo!”.

Cosa pensi del sistema dell’editoria contemporanea del nostro Paese?

Penso che il sistema editoriale italiano sia schizofrenico: abbiamo un’editoria spendacciona e nello stesso tempo tirchia perché indebitata. Si parla tanto di industria editoriale, ma il sostantivo, in questo caso, è inappropriato. Nell’industria vera, c’è la volontà di produrre per vendere, e tutto scorre in questa direzione in maniera più o meno razionale. Nel caso del libro, invece, spesso non c’è razionalità. Ci sono editori, anche importanti, che si comportano ancora da artigiani, fanno prevalere le proprie paturnie, le proprie idiosincrasie, la propria visione snobistica della cultura, ma non giungono al cuore di chi legge. Nello stesso tempo pubblicano troppo, pressati dal ricatto dei distributori. Il risultato è un grosso fatturato solo sulla carta, ma non reale. In agguato, allora, l’indebitamento.

Un editore efficiente e razionale, invece, dovrebbe essere di qualità nei contenuti che pubblica, e nello stesso tempo risoluto a giungere al cuore di chi legge. Ovvero commerciale nella promozione e nella distribuzione di quanto ha stampato, abbandonando ogni forma di boria e snobismo. Devo dire che la mia esperienza con la Newton Compton va proprio in questa direzione: massima libertà, apertura anche alla sperimentazione letteraria di chi scrive; e nello stesso tempo una macchina efficiente a disposizione: promozione, distribuzione capillare e vendita, sia nelle librerie fisiche che online.

Progetti futuri? Aspettative di successo per il tuo libro/libri?

Spero di continuare la serie del commissario Donnarumma, edita da Newton Compton, in cui racconto la mia Salerno; magari con traduzioni all’estero. Amo, come il mio protagonista, la Salerno-Jekyll: sonnolenta, decorosa, accogliente, così come ne detesto la poliedrica sorella criminale Hyde, la città di Bengodi, dello spaccio, dei cento bar, dei cento pub, delle discoteche. La Salerno dell’usura e delle attività commerciali che muoiono e rinascono; il tempo di un “bucato” bianco e splendente. La città è un personaggio fondamentale in un giallo che si rispetti e, in questo caso, è anche l’occasione per riversare sulla pagina l’impegno civile e politico di chi scrive. Far conoscere all’estero la mia Salerno letteraria sarebbe, allora, un bel risultato.

La pandemia per molti è stata un tempo catartico e di introspezione personale, tu come l'hai vissuta?

Nel mio caso non è stato un periodo catartico né di introspezione; è stato, invece, un momento di riflessione politica e civile. Tutto il sistema statale è crollato o è stato demolito sotto una spinta globalista violenta, che è cresciuta con gli anni. Tutte le nostre certezze e i nostri punti di riferimento sono venuti meno. I due romanzi che sono riuscito a scrivere, durante l’isolamento forzato, sono anche il frutto di queste riflessioni e di questi sentimenti forti.

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Anna De Rosa 26/04/2022 0

La suggestione dell'attimo felice negli scatti di Giovanna Rispoli

Giovanna Rispoli è una fotografa, che durante l’adolescenza, ai tempi del Liceo Artistico di Salerno, ha avuto la fortuna di avere professori che sono stati e sono tuttora grandi artisti e critici d’arte. Si è fatta notare per il suo spirito di partecipazione alla realtà culturale di Salerno. Per una serie di motivi, ha vissuto un lungo periodo di silenzio creativo, interrotto circa due anni fa, quando si è rivestita di una “pelle nuova” ed ha ritrovato il suo spirito artistico e sono arrivate partecipazioni a collettive con le sue fotografie.

Dove sei nata? Dove vivi?

Sono nata a Salerno e vivo a Pellezzano.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

Nel lontano 1985, quando scelsi di iscrivermi al Liceo Artistico. Gli anni della mia formazione completa li ho avuti negli anni '90, quando, ancora liceale, frequentavo gli studi di alcuni maestri d’arte come Matteo Sabino e Sergio Vecchio. Due grandi maestri di cultura a 360 gradi. Da loro ho imparato molte tecniche pittoriche, a mescolare i colori, a preparare tele, ma soprattutto ad osservare la natura, gli oggetti, a sentire ad ascoltare i loro racconti, le loro esperienze culturali artistiche. Da loro ho imparato praticamente come si crea un’incisione, un murale, un mosaico, un restauro di un quadro, un vaso di ceramica, come si fotografa.

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

Ho costruito una macchina fotografica con la quale potevo scattare foto e svilupparle io. Una passione innata, ma la grande ispirazione l’ho avuta osservando i paesaggi marini, i tramonti, facendo lunghe passeggiate al mare, visitando paesi. Cerco di comunicare emozioni, calma, serenità, anche paura, perché a volte la mia anima è in tempesta ed ascoltando le onde del mare mi calmo, divento serena, felice. Scelgo il soggetto dei miei lavori quando esco e sono in giro con il mio motorino, e mi fermo dove un paesaggio, un animale, un fiore, una spiaggia mi colpisce e cerco di catturare l’attimo fuggente con la mia macchina fotografica.

Gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?

I due grandi artisti precedentemente citati, che non ci sono più. I loro insegnamenti mi hanno molto influenzato, le loro critiche positive, i loro rimproveri. I pomeriggi trascorsi presso i loro studi mi hanno formata e tramite loro ho avuto modo di conoscere e frequentare gallerie (Il Catalogo, Verrengia), il Museo Frac e critici d'arte come Massimo Bignardi e Rino Mele e altri.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?

Qui al Sud è un po' provinciale, c’è poca cultura, la gente segue di più cose futili e poco una bella mostra, si pensa solo al locale dove andare a sentire musica e cenare. Eppure nella Valle dell’Irno, a parte Salerno, ci sono complessi museali importanti come il Museo Eremo dello Spirito Santo di Capriglia e il convento di San Francesco di Baronissi.

Progetti futuri? Cosa ti ha lasciato la pandemia?

I miei progetti mi impegnano a seguire la mia evoluzione e ricerca artistica attraverso la fotografia. In questi due anni di pandemia ho imparato ad ascoltare il mio essere, i miei sentimenti, desideri, valori, nozioni; la solitudine ha scatenato la mia voglia di vivere, di ripresa, di rimettermi in gioco, di vivere di nuovo per le strade e fotografare gli attimi, i momenti, le persone, gli oggetti, i tramonti, le albe, il mare calmo, in tempesta, gli animali, i fiori, la natura, tutto ciò che è bello, che stimola serenità, felicità, gioia, pace, tranquillità.

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Anna De Rosa 15/04/2022 0

Paesaggi ad acquarello ed equilibri geometrici, ecco Pino Giannattasio

Le esperienze artistiche di Pino Giannattasio riflettono il suo carattere posato, sempre alla ricerca della forma e della tecnica per esprimere nel modo migliore il suo mondo. Sperimentatore di diversi materiali come cartone, ferro, ceramica, Giannattasio spazia dalla pittura alla grafica, dai paesaggi ad acquerello - che esprimono la sua poesia cromatica che accarezza le architetture delle case e dei monumenti - alla ricerca geometrica di equilibri e perfezioni. Ha partecipato a numerose collettive, conseguendo riconoscimenti.

Dove sei nato? Dove vivi?

Sono nato a Salerno, dove vivo.

Come è cominciato il tuo percorso artistico?

Ho cominciato a dipingere cogliendo l’occasione di un concorso artistico organizzato dalla Prof.ssa Grassi, Presidente dell’Accademia Internazionale d'Arte & Cultura "Alfonso Grassi".

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

Sin dall’inizio del mio percorso artistico ho cercato di trasmettere con le mie opere quello che era il mio stato d’animo al momento della creazione. Si possono così notare differenze notevoli fra i quadri: vi è un periodo di calma e apprezzamento del bello, che si identifica con le molte produzioni ad acquarello; un periodo sperimentale, in cui mi sono cimentato nelle opere geometriche e con forti colori, giocando fra le tinte primarie e secondarie; mi sono poi dilettato con tecniche nuove, lasciandomi guidare dalla fantasia.

I riferimenti artistici e culturali e gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?

Sono affascinato dall’arte giapponese espressa da Hiroshige e Hokusai, dai dipinti dell’inglese Turner e dell’americano Hopper. Rimanendo invece a Salerno, mi è sempre piaciuto il Prof. Sabino.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea dalle nostre parti?

Purtroppo nelle realtà locali c’è poca partecipazione da parte delle Istituzioni, cosa che non permette un’adeguata sponsorizzazione degli artisti e delle loro opere. Raramente vengono promosse iniziative gratuite, che permetterebbero di far conoscere una grande quantità di artisti, e tanto meno viene dato grande risalto a quelle organizzate dalle associazioni o da singoli promotori. Bisognerebbe far presente che l’arte non è un bene solo di nicchia, ma è una vera e propria terapia dell’anima aperta a tutti.

Progetti futuri?

Al momento non ho in programma nulla di definito. In questi due anni, quando è stato possibile, ho partecipato a mostre collettive in città e riprenderò quanto prima la produzione di opere.

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Anna De Rosa 01/04/2022 1

Le emozioni creative di Anna Vitaliano: "L'arte avvicina la mente al cuore"

Anna Vitaliano ha sempre avuto la passione per l’arte e soprattutto per il disegno. "Grazie" al lockdown ha ripreso a dipingere per esorcizzare il brutto momento che si stava vivendo e subito ha prodotto opere. "L’esplorazione del lato più creativo di sé - spiega Anna - sostiene la vita quotidiana di molte persone, perché l’arte avvicina la mente al cuore. E questo mi ha aiutato a fronteggiare personalmente la pandemia: ho trasformato il non potere abbracciare e toccare le persone, ho sentito le mie emozioni creativamente e le ho messe su tela".

Dove sei nata? Dove vivi? Come è iniziato il tuo percorso artistico?

Sono nata a Nocera Inferiore e vivo a Salerno. Sin dall'asilo, inconsciamente, mi immergevo nei colori per creare una mia dimensione fantastica, dove passavo intere ore, che potesse rispecchiare tutto ciò che avevo dentro e che volevo esternare. Ho sempre amato tutto ciò che riguarda l'arte e la bellezza in tutte le sue sfaccettature. Infatti, professionalmente, mi sono qualificata come consulente di bellezza. Il tutto però, in modo particolare, è esploso durante il periodo difficile del primo lockdown.

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

Una mia opera nasce sempre secondo il mio stato d'animo ed in base all'ispirazione del momento che sto vivendo. L'ispirazione, la maggior parte delle volte, mi viene quando mi trovo in uno stato d'animo che tocca determinate sfere emotive. Dopodiché mi isolo da tutto e da tutti, ascoltando la mia musica preferita, iniziando a mescolare i colori e volando con la fantasia, imprimendo il tutto sulla tela.

Quando dipingo mi lascio guidare dalla mia mano che prende il controllo della situazione ed ascolta, al contempo, ciò che mi comunica il cuore. E ciò vuol dire anche riuscire ad imprimere su tela come vedo io un qualcosa in modo totalmente soggettivo, riuscendo a cogliere l'attimo. Non sempre ho le idee abbastanza chiare, per questo cerco spunti di riflessione che mi possano evocare qualcosa.

I riferimenti artistici che ti hanno maggiormente influenzato?

Amo alla follia la corrente dell'Impressionismo! E come non citare, di conseguenza, il mio artista preferito in assoluto: Claude Monet con le sue amate Ninfee. Mi ha sempre smosso qualcosa dentro e credo che la mia maniera di dipingere in parte inizi proprio da lì, fino a diventare poi l'evoluzione di me stessa, di ciò che sono io sulla tela trovando una mia tecnica.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?

Onestamente per me è tutto un mondo nuovo, frequento la pittura relativamente da poco, quindi non sento di esprimermi al riguardo. Vivo ogni attimo nel miglior modo possibile ed ogni occasione che mi si presenta è sinonimo di crescita personale ed artistica, per emergere sempre di più.

Cosa ti ha lasciato la pandemia? Progetti futuri?

Penso che, malgrado tutto il disagio, proprio il lockdown sia stato la mia rinascita: è iniziato tutto da lì. È stato in quel tempo catartico dove è sbocciata quella parte di me che aveva bisogno di uscire e si è manifestata grazie alla pittura. Ho ripreso e ho dato la mia prima pennellata durante il lockdown, lì ho capito quanto fossi vicina all'arte e quanto mi sentissi in simbiosi con essa, quanto potesse capirmi e liberarmi di tutto ciò che avevo dentro. È stata la mia luce e lo è tutt'ora, sempre di più, dandomi anche più stimoli per vivere la vita al meglio!

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Anna De Rosa 18/03/2022 0

La metafisica visione del reale del sanseverinese Franco Pironti

Le narrazioni artistiche di Franco Pironti, artista eclettico ed originale, attraversano variazioni cromatiche, maturano verso il senso di una metafisica visione del reale e si concretizzano in un’arte senza tempo. Pironti rappresenta una sintesi pittorica iniziata dall’espressionismo per giungere, dopo un percorso trentennale, a stabilire un risultato proiettato all’esemplificazione estrema della dimensione ed alla scelta naturale della forma.

Dove sei nato? Dove vivi?

Sono nato a Mercato San Severino il 19 gennaio 1954 e ci vivo.

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?

Il mio percorso artistico è iniziato nel 1979, quando iniziai a frequentare lo studio del prof. Pesce (mio compaesano). Iniziai a dipingere perché volevo dire qualcosa di mio e l'ispirazione, almeno nei primi anni, fu legata all'ottimismo ed alla voglia di creare qualcosa di bello.

Come nasce una tua opera? Cosa cerchi di comunicare?

È un po di anni che rincorro, volta per volta, una mia sintesi, quindi lascio immaginare la dannazione e l'autocritica quando devo proseguire; sono stato persino un anno fermo per poter pensare e decidere.

I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato?

Nessun artista mi ha mai influenzato anche se li ho sempre ammirati nel loro modo di essere.

Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?

Il prof. Pesce mi diceva sempre che i galleristi sono mercanti d'arte dei quali non bisogna avere molta fiducia; penso che gli artisti abbiano poco coraggio e che le istituzioni facciano sì e no il minimo che compete loro.

Progetti futuri? Come hai vissuto la pandemia?

Per due anni non mi sono mosso da casa, la situazione non mi è pesata tanto perché sono abituato a stare solo e pensare alla pittura.

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